Stifone e le sue Gole

Immergiti nella storia

Stifone e la Storia

Stifone è una piccola frazione del Comune di Narni, in Umbria, che dista circa 75 km da Roma. È una terra di confine situata in una gola, sulla riva sinistra del fiume Nera, che a Orte affluisce nel Tevere.

Oggi è un insieme di resti di vecchi mulini, acque trasparenti di un blu cobalto straordinario, case antiche più o meno restaurate e qualche orto, in un’atmosfera sospesa e quasi misteriosa.

Secondo una delle etimologie proposte, il nome deriverebbe dal longobardo steifon “rigido, puntuto”, detto appunto di palizzata difensiva. 

La riva destra del Nera segnò a lungo in effetti il confine tra il Ducato di Spoleto e il territorio romano della Chiesa. Fronteggiando la pontificia Narni, Stifone doveva essere quindi un avamposto importante all’interno dei possedimenti longobardi.

Al centro del paese c’è una piazza su cui si affaccia la Chiesa di Santa Marina – protettrice del paese festeggiata con una processione nella terza domenica di luglio – con dentro alcune tele del Seicento e un’urna con le ossa di San Bonifacio martire

Poco distante, il palazzo della famiglia Silori, proprietaria di numerosi poderi, proprietà e mulini nell’abitato, all’interno dei quali buona parte degli stifonesi ha trovato storicamente impiego e alloggio. 

Tutt’oggi la famiglia è tra i maggiori contributori della comunità locale.

Stifone e il Futuro

Non solo passato. Stifone è stato anche un borgo che ha precorso i tempi. 

Già nel 1892, infatti, per iniziativa di uno dei più illustri stifonesi, l’ingegner Aldobrando Netti, in questo piccolo paese fu costruita una centrale idroelettrica, la prima dell’Italia centrale e meridionale, che utilizzava la forza motrice dell’acqua sorgentizia della Valca (detta anche “la Forma”). 

L’anno successivo, nei pressi della vasca di acqua sorgiva detta “La Morìca”, sempre a Stifone, fu costruita una diga per elevarne l’altezza così da ottenere la forza motrice sufficiente per far girare una dinamo che riusciva a illuminare quasi tutta Narni. 

Negli anni successivi – grazie anche alla maggior quantità di acqua fatta affluire alla Morica attraverso il cosiddetto “canale Ferranti” (dal nome dell’imprenditore che lo realizzò) – furono messe in azione altre dinamo e alternatori per i quali furono costruiti degli alloggiamenti in muratura. 

A queste due centrali di Stifone si affiancò nel 1915 la centrale di Montoro. Tale sistema idroelettrico restò in funzione fino al 1937 quando una enorme piena del fiume Nera danneggiò irrimediabilmente le due centrali di Stifone, i cui resti costituiscono oggi alcuni tra i più interessanti monumenti di archeologia industriale umbra. 

Insieme all’architettura rurale del borgo e ai lavatoi medievali, costituiscono una stratigrafia di cultura materiale che si fonde nel paesaggio naturale, proprio come le rovine del Ponte di Augusto poco più a monte del Nera.

Stifone e l'Acqua

Stifone è uno dei paesi più ricchi d’acqua che si possa immaginare, un cuore blu nel cuore verde dell’Umbria. Ogni pochi metri c’è una sorgente: non a caso un’altra etimologia proposta per il nome è dal latino septem fontes.

È stato calcolato che il complesso delle sorgenti esistenti intorno a Stifone immettano nel fiume Nera circa 13 metri cubi di acqua al secondo, una quantità di poco superiore alla portata delle Cascate delle Marmore quando non sono deviate nelle condotte forzate.

La sola sorgente della Morica, che alimenta una vasca profonda (a diga chiusa) circa 10 metri, ha una portata di 2 metri cubi al secondo.

Se pensiamo che ogni metro cubo di acqua rappresenta mille litri, ci rendiamo conto dell’incredibile ricchezza acquea di un paesino così piccolo come Stifone.

L’acqua, proveniente secondo la tradizione popolare dalle montagne di San Pancrazio, si irraggia tra le rocce in un perpetuo chioccolio di mille rivoli e si raccoglie qua e là in fresche polle di acqua limpida.

Fino a pochi anni fa, tutti gli stifonesi erano fieri di bere solo l’acqua sorgiva della Forma, peraltro considerata l’unica adatta a cuocere i celebri “manfricoli”.

Qui l’acqua sgorgante, scendendo verso i vecchi lavatoi (ancora in utilizzo fino a tutti gli anni Settanta), esce poi dalla viva roccia per confluire nel fiume creando una piccola cascata.

Tutte queste acque, oltre ad alimentare l’acquedotto e ad irrigare i campi circostanti, sono state a lungo usate per azionare grandi mulini e le antiche ferriere che lavoravano i minerali estratti dalle rocce del Monte Santa Croce.